Lavoro e sviluppo al Sud – Il 2050 non è tanto lontano.

9 Maggio 2023 L’Espresso «Nel 2050 gli anziani saranno 20 milioni. Servono strategie per garantire una buona qualità della vita a tutti»
4 Agosto 2019 Gazzetta del Sud «Messina, fuga al Nord: nel 2050 meno di 200 mila residenti»

Passeremo da 59 a 48 milioni di persone e spariranno 500 miliardi di Pil. «Dobbiamo esserne consapevoli».

Nel 2050 gli over 65 saranno circa 20 milioni, il 35,9 percento della popolazione totale. Nel 2070, due milioni di persone avranno più di 90 anni, 145 mila saranno ultracentenarie. «L’Italia è un paese che ha più morti che nati: l’anno scorso i decessi sono stati 793 mila, le nascite 393. Nei prossimi anni passeremo da 59 a 48 milioni di persone e spariranno 500 miliardi di Pil. Dobbiamo esserne consapevoli per attuare delle politiche in grado di sostenere un paese che invecchia. La spesa sanitaria sarà enorme per garantire una buona qualità della vita a tutti». Così Gian Carlo Blangiardo, ex presidente dell’Istituto nazionale di statistica, ha aperto il primo appuntamento romano de “I colori del futuro”.

«Per questo è importante che la politica si impegni a cercare una strada efficace per rendere sostenibile il mondo del lavoro», ha risposto Francesco Boccia (contrario al Ponte), capogruppo al Senato del Pd. Che ha parlato anche della necessità di contrastare la povertà degli anziani alzando le pensioni minime e di come favorire l’accesso delle donne al mercato occupazionale sia uno degli strumenti necessari per incentivare la natalità.

«Dobbiamo puntare a livellale le disuguaglianze che segnano il nostro Paese», ha aggiunto la senatrice del M5S (contrario al Ponte) Maria Domenica Castellone che ha ricordato come questo sia anche l’obiettivo principale del Pnrr: non il profitto dei singoli ma la possibilità di alleviare le differenze che caratterizzano i territori. Affinché istruzione, lavoro, casa e salute siano diritti che non dipendano dal contesto sociale.

Alla discussione hanno partecipato anche Paola Reali, responsabile del Fondo nazionale abitare sostenibile, di Cassa depositi e prestiti, che ha evidenziato la necessità di portare avanti partnership costruttive tra pubblico e privato per vincere le sfide che l’Italia si troverà ad affrontare nei prossimi anni. E Giovanni Messina, il direttore generale di Stannah, che ha sottolineato l’importanza che ha, e avrà sempre di più, la Silver economy in un Paese in cui, è un dato di fatto, il numero degli anziani è in crescita. Ricordando che per offrire una buona qualità della vita a chi ha superato i 65 anni non basta garantire l’accesso al sistema sanitario nazionale ma è necessario anche tutelare la vita sociale. Fondamentale per il benessere della persona.

Fonte: L’Espresso

Ogni Report ormai è come un fotografo che entra nella scena del crimine e scatta immagini di un efferato delitto già compiuto. I dati Svimez riguardanti lo spopolamento del Sud e della Sicilia in particolare fotografano l’esatta situazione al 2019 ma non aggiungono niente rispetto a ciò che già si sapeva.

C’è un’emergenza, vera, concreta, eppure celata, nascosta tra le pieghe del giorno per giorno, che nessuno sa come affrontare: è quella demografica. E Messina è una città paradigmatica di quanto sta avvenendo nelle regioni meridionali e nelle contrade dell’Isola. Solo qualche mese fa è stato pubblicato il Bilancio demografico comunale del 2018, redatto dall’Ufficio di statistica di Palazzo Zanca, con i suoi numeri «crudi e crudeli», messì lì in fila a raccontare di un capoluogo che continua a spopolarsi, che è sempre più vecchio, in cui si fanno sempre meno figli.

Al 31 dicembre scorso, il dato della popolazione residente a Messina era il seguente: 232.555 abitanti (111.558 maschi e 120.967 femmine), con un costante decremento di meno 1.738 abitanti (-0,7%) rispetto al 2017 e addirittura di meno 10.359 unità (-4,3%) dall’anno 2011.

Tra gli esperti di demografia, c’è chi si è divertito (è solo un eufemismo) a proiettare su scala futura questi dati: se non ci sarà al più presto un’inversione di tendenza, tenendo conto che le percentuali del decremento vanno sempre più aumentando (la fuga dei giovani, la natalità tra le più basse d’Italia) la Messina del 2050 potrebbe ritrovarsi con meno di duecentomila residenti. Sarebbe come l’effetto di un cataclisma: da oltre 250 mila abitanti degli anni Novanta-inizio Duemila a meno 250 mila. Come se ci fosse stato un altro terremoto del 1908.

L’unica barriera al depauperamento demografico è rappresentata da alcune comunità straniere residenti in città, in particolare quelle asiatiche, srilankesi e filippine, che rappresentano quasi il 60 per cento delle presenze. Gli stranieri complessivamente sono oltre 12 mila, la tendenza di crescita, pur non esagerata, è abbastanza netta e se continuerà a salire come è avvenuto negli ultimi anni, entro il 2035 dovrebbero essere più di ventimila, poco meno di trentamila nel 2050. Sono previsioni che lasciano, per ora, il tempo che trovano, ma forniscono un quadro realistico di una città che, lo ripetiamo, fra trent’anni potrebbe avere meno di duecentomila abitanti e di questi trentamila di provenienza straniera, con oltre la metà costituita da srilankesi e originari delle Filippine.

Nè vale il principio di chi sostiene che «meno bocche ci sono da sfamare, meglio si vive». Al pauroso calo demografico non è corrisposto alcun aumento dei livelli di qualità della vita, anzi l’esatto contrario: sono cresciute a dismisura le soglie di disoccupazione e lavoro nero e le sacche di povertà.

Fonte Gazzetta del Sud

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